Indagine COVID-19: Primi Risultati

Dopo aver completato nel gennaio 2020 la settima rilevazione sulle imprese italiane che si realizza con cadenza biennale da oltre un decennio (2008[1], 2009, 2011, 2013, 2015, 2017, 2019), l’avvento dell’epidemia e le conseguenze delle misure prese a tutela della salute pubblica dalla fine di febbraio 2020 hanno modificato sostanzialmente lo scenario in cui le stesse aziende si trovano a operare. Si è deciso, pertanto, di effettuare un supplemento della rilevazione appena conclusa per cogliere lo stato dell’arte e la previsione degli operatori dell’industria e dei servizi alla produzione. Sono state raccolte oltre 7.800 interviste di un panel rappresentativo di soggetti già intervistati due mesi prima, ovvero un periodo immediatamente precedente allo shock derivante dall’epidemia, per consentire confronti ravvicinati e attendibili[3].

Il questionario “COVID-19” è dedicato alla valutazione degli effetti attesi della nuova crisi sulle principali variabili aziendali proiettati a 3, 12 e 18 mesi, con le reazioni messe in campo dalle imprese nell’immediato, con i possibili cambiamenti strategici del modo di produzione, con le criticità principali individuate e con le misure richieste.

Dalle analisi condotte si conferma, e non poteva essere altrimenti, un impatto rilevantissimo della crisi sull’intero sistema industriale nazionale con effetti attesi duraturi.

Come detto i due aspetti di interesse delle analisi condotte sono la misurazione dell’intensità e dell’articolazione dei fenomeni e una prima identificazione delle caratteristiche distintive delle aziende che segnalano le maggiori preoccupazioni e le maggiori criticità, cercando di ipotizzarne un profilo di rischio.

Sul primo punto l’indagine segnala attese medie pari al -19% per il fatturato a un anno e del -9% per l’occupazione.

L’aspetto di maggior rilievo e preoccupazione è rappresentato, come sempre, dall’articolazione del fenomeno e dal fatto che i soggetti a maggior rischio non sono individuati nelle imprese marginali, in quelle cioè caratterizzate da una presenza precaria sui mercati e da modesti tassi di crescita registrati nel passato. I problemi sembrano concentrarsi su quelle imprese, dalle dimensioni piccole, ma spesso non piccolissime, che hanno provato negli ultimi anni a sviluppare azioni di ricerca e innovazione, oltre che di presenza sui mercati (anche internazionali): si tratta di attività che hanno garantito alle stesse aziende buoni tassi di sviluppo, ma sono state anche capaci di sostenere positivamente, con la loro crescente diffusione nel sistema industriale, il tasso di variazione della produzione industriale.

Se possiamo ipotizzare, sia pure sulla base di analisi preliminari come quelle in oggetto, il profilo delle imprese più colpite dagli effetti della crisi legata all’epidemia, questo può essere sintetizzato in alcuni elementi.

Si tratta di imprese tendenzialmente piccole, anche se non sempre piccolissime per gli standard nazionali – come detto, con meno di 50 dipendenti -, con strategie dinamiche significative non del tutto consolidate in termini di risultati di mercato e con criticità finanziarie.

È una tipologia di impresa molto diffusa in Italia e, soprattutto, si tratta della tipologia che ha registrato buone performance e in espansione nel tessuto produttivo nazionale negli anni successivi al 2011/2012 (cfr. Rapporti MET e Rapporti sulla competitività dei settori produttivi, vari anni, ISTAT).

Per questa tipologia di imprese, in modo particolare, il finanziamento a debito (prevalentemente creditizio) delle attività dinamiche era prassi molto diffusa e, nella nuova situazione, questo può determinare problemi rilevanti e da non sottovalutare. Non si tratta di fabbisogni finanziari trascurabili dal momento che molte di queste aziende presentano fabbisogni per il capitale circolante, per gli investimenti e per i programmi di ricerca, elevati.

Va sottolineato come, pur nella generale fragilità delle prospettive delle imprese minori, fa eccezione il caso di imprese che sono riuscite a costruire solide posizioni sui mercati esteri (con molti mercati di sbocco) per le quali il calo atteso sembra apprezzabilmente ridotto; andrà verificata, naturalmente, la consistenza di questa previsione.

Esistono, in generale, due problemi che si sovrappongono: un primo problema, che possiamo definire di sopravvivenza, è legato in misura determinante alle grandezze finanziarie, alla gestione del debito e alla sostenibilità finanziaria dell’attività; un secondo problema è legato alla competitività. La forte riduzione delle spese in R&D, che avevano visto una accelerazione apprezzabile dal 2011, prevista dagli operatori nei prossimi mesi è fonte di grande preoccupazione e va certamente contrastata. Va anche segnalato che, nel caso della R&D, la resistenza a privarsi di competenze e di risorse umane difficili da sostituire e ricostituire porta queste stesse imprese a un atteggiamento particolarmente difensivo verso la propria occupazione. Ciò determina una riduzione dell’impatto immediato della crisi in termini occupazionali e rende il suo mantenimento particolarmente prezioso, non solo per la competitività di lungo periodo del sistema, ma anche per lenire gli effetti negativi della crisi.

Sta al comportamento dei policy maker e alle azioni messe in atto la possibilità che le previsioni indicate nella rilevazione e sintetizzate nei punti precedenti non si realizzino.